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sabato 8 agosto 2015

Vaneggiamenti di una Scribacchina: 2 "Dalla Lettura alla Scrittura"



“If there's a book that you want to read, but it hasn't been written yet, then you must write it.”
- Toni Morrison

                 

 Dalla Lettura alla Scrittura


Credo che passare dalla lettura alla scrittura sia un passo davvero breve, infinitesimale, per uno scrittore e che, spesso, chi si accinge a scrivere lo compia spontaneamente -come è giusto che sia- e senza farsi troppe domande su come avvenga il passaggio, ma visto che siamo qui per parlare di scrittura a 360°, oggi ci soffermeremo proprio su questo. 

Come sottolineato la settimana scorsa, per scrivere in maniera verosimile bisogna leggere e leggere tanto, ne consegue che saper scrivere bene, significhi anche saper leggere bene.
Non si può certo dire che ci siano modi “sbagliati” di leggere, ma di certo ce ne sono di diversi, tutti per qualche verso utili a chi scrive. 
Mentre riflettevo su cosa scrivere per questa “uscita” della rubrica mi sono imbattuta in un testo scolastico davvero utile* che tratta, tra l’altro, proprio di questo argomento e mi sono permessa di adattarlo un po' al punto di vista di uno scrittore.

Secondo questo volume, bisogna “saper leggere”, questo vuol dire che il lettore in generale -e lo scrittore in particolare- non sempre può limitarsi ad aprire un libro e gettarsi nella lettura, per quanto possa essere piacevole e allettante.

Ma andiamo con ordine...

Aperto un nuovo libro, si fanno -più o meno consapevolmente- delle scelte  “logistiche”: dove leggere, quando, quanto tempo dedicare all'attività…  

Un’altra scelta riguarda il “tipo” di lettura che andrà ad occuparci e un’altra ancora è legata alle nostre motivazioni: perché stiamo leggendo un dato libro?

Se si volesse essere schematici -e per evitare di scrivere una dissertazione di 10.000 pagine, invece di una rubrica, ho deciso che cercherò di esserlo sempre e il più possibile- si potrebbe partire con il distinguere due modi di leggere.

Il testo di cui vi accennavo chiama questi due modi di leggere “lettura ingenua” e “lettura critica”, utilizzando definizioni che si spiegano praticamente da sole, ma vediamo comunque di cosa si tratta…

La lettura ingenua affronta il libro con in mente solo una parentesi di svago per chi legge, è una lettura disimpegnata, una lettura alla quale ci si dedica unicamente per piacere; la si potrebbe, secondo me, anche definire “lettura rapida”. Alla fine di una “lettura ingenua” al lettore, del libro letto, rimane ben poco: la trama, i nomi dei personaggi e qualche loro caratteristica fondante, un insieme di impressioni ed emozioni che confluiscono in un’idea che ci si è fatti del romanzo: il “Mi è piaciuto”/”Non mi è piaciuto”

La lettura critica, invece, pur costituendo comunque uno svago, porta chi legge a farlo“criticamente”, appunto. Chi legge in questo modo, lo fa con cognizione di causa, conosce le leggi che dovrebbero governare l’universo di un certo tipo di romanzo, nonché tutte le convenzioni che possono renderlo più o meno verosimile e realistico. 
Chi legge criticamente, insomma, lo fa analizzando la struttura del testo, andando in profondità, senza fermarsi ad un basilare livello di comprensione (come avviene con la “lettura ingenua”). 

Così leggono i lettori, ma come devono leggere gli scrittori?
Qual è il modo corretto?

Entrambi. Uno scrittore dovrebbe adottare ambo i metodi se possibile.

Si capisce bene come leggere solo “ingenuamente” porterebbe chi scrive ad un’analisi insufficiente del testo, mentre una lettura eccessivamente critica -deformazione professionale più o meno involontaria di chi ama scrivere- risulterebbe troppo formale, incapace di riconoscere il valore delle sfumature più semplici, degli aspetti prettamente d’intrattenimento, per così dire.

Vi riporto un brevissimo passaggio dal testo:

“Nel momento in cui uno scrittore si accinge a scrivere un romanzo, un racconto, una lirica, stabilisce con il lettore un’intesa, un patto (si parla, appunto, di patto narrativo), in base al quale egli crea un mondo all'interno del testo, lo organizza come meglio crede e il lettore, dal canto suo, si impegna a seguirlo nel suo percorso senza stupirsi di nulla, facendosi, per così dire, condurre per mano…”

Ovviamente qui parliamo di testi letterari in generale e di fiction in particolare.

Il lettore ingenuo, dunque, si ferma alla superficie, non si concentra sulle componenti del testo, sulle “tecniche narrative” impiegate dall'autore; al contrario, il lettore critico, pur tenendo presente il patto indirettamente stipulato con l’autore, non solo riesce a compiere una netta distinzione fra “mondo scritto” e mondo reale, contestualizzando le azioni dei personaggi, riflettendo sui dialoghi e cercando di comprendere come i vari “fili” della trama si intersechino fra loro all'interno della storia, ma si dà da fare per scendere in profondità all'interno della scrittura e comprendere i suoi meccanismi, gli ingranaggi che fanno funzionare la trama.

È come un continuo "giocare a nascondino" fra scrittore che tenta di sparire il più possibile dietro e dentro il suo elaborato e lettore critico che cerca in ogni modo di scovarlo per capire come lavora e quale sia il suo messaggio.

La migliore chance che uno scrittore ha di  vincere la partita, rimanere ben nascosto e, conseguentemente, scrivere una buona storia è sperimentare l’altro lato del patto, dunque, ed essere prima di tutto un lettore accanito in grado di farsi trasportare dalle onde della storia, senza mai perdere di vista la riva costituita dalle regole che dovrebbero governarla.


Quindi come si compie il passaggio dalla lettura alla scrittura?

La verità, è che, in fin dei conti, non si effettua mai veramente, secondo me, non se si vuole scrivere qualcosa di buono: lo scrittore è  per sempre un lettore, ingenuo e critico insieme, anche mentre scrive le sue stesse storie.










*Bibliografia: “Nuovo Quattro colori- Libro Giallo”, A. Mariotti/ M.C. Sclafani/ A. Stancanelli, Casa Editrice G. D’Anna, 2000.













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